mercoledì 13 gennaio 2010


FIAT: no More Fabbrica Italiana Automobili Torino. FIAT n'est pus la "Fabrique Italienne des Automobiles de Turin. FIAT nicht mehr Italienische PKF -Fabrik in Turin.

In realazione alla presentazione a Detroit, da parte del Dott. Marchionne, delle strategie globali FIAT, riportiamo qui di seguito l' articolo:"Nella Fiat globale l’Italia conta meno",di Fernando Liuzzi, del giornale elettronico "Rassegna.it", espressione del mondo sindacale, che, sostanzialmente, condividiamo.

"La Fiat non pensa più a se stessa come alla maggiore impresa metalmeccanica italiana. Ormai ha scelto di essere una multinazionale. Fiat Group tiene insieme la serba Zastava con l’americana Chrysler. E sceglie di tagliare le fabbriche italiane del sud

C’era una volta la Fiat, Fabbrica italiana automobili Torino. Ora c’è Fiat Group. E non è un piccolo cambiamento. Perché non si tratta solo di uno slittamento linguistico, dal latino (fiat = si faccia), che ben si attagliava allo stile floreale diffuso nei paesi industriali all’inizio del ‘900, all’inglese, inteso come veicolo comunicativo privilegiato sui mercati globali. Né si tratta solo dell’ennesimo restyling di un logo di cui è stata disegnata una versione graficamente spersonalizzata, e perciò, almeno nelle intenzioni, più universale. In realtà, il cambiamento di nome, e di marchio, è il segnale di un mutamento, allo stesso tempo, più profondo e più ampio.

La Fiat non pensa più a se stessa come alla maggiore impresa metalmeccanica italiana. La Fiat, ormai, ha scelto di essere una delle maggiori imprese multinazionali dell’auto. Certo, una multinazionale basata in Italia. Ma un’impresa italiana è una cosa, una multinazionale il cui quartier generale è collocato in Italia è un’altra cosa. Perché nel primo caso, anche se l’impresa in questione non agisce solo all’interno del mercato domestico, e si proietta verso l’esterno, il suo gruppo dirigente continua a pensarsi nei termini tradizionali: noi siamo qui e dobbiamo penetrare anche altrove. Nel secondo caso, la differenza tra il qui e l’altrove viene cancellata. Il mercato mondiale diventa uno scenario unico.

A guardar bene, che le cose stessero così – se non ancora nella realtà, almeno nella testa di Sergio Marchionne – lo si poteva capire già a fine 2008, nell’intervista pubblicata dal periodico specializzato Automotive News Europe. Intervista in cui l’amministratore delegato della Fiat affermava, fra l’altro, che, oltre la crisi, nel mondo ci sarebbe stato posto solo per sei grandi gruppi produttori di autovetture. E che, per sopravvivere, la Fiat doveva diventare uno di quei gruppi, raddoppiando, come minimo, la sua produzione annua a livello globale. Detto fatto, il 2009 è l’anno della proiezione globale della Fiat che, profittando della crisi, sbarca negli Usa e si compra la Chrysler.

Il logo marchio Fiat Group che, il 22 dicembre 2009, siglava discretamente i grafici della presentazione in power point con cui Marchionne ha illustrato a Palazzo Chigi il nuovo piano industriale sfornato dal Lingotto, aveva quindi forse un valore esplicativo maggiore delle parole dello stesso Marchionne circa le sue intenzioni programmatiche. Fiat Group non è solo il nuovo nome della vecchia casa torinese: è la sintesi della volontà di sopravvivenza di una multinazionale che spazia dallo stabilimento di Betim, in Brasile, a quello di Tichy, in Polonia, e tiene insieme la serba Zastava con l’americana Chrysler. E mantiene la plancia di comando a Torino.

Sembrerebbero buone notizie. Ma se, dall’altra parte dell’Atlantico, vigeva un tempo l’assioma secondo cui ciò che è buono per la General Motors è buono per gli Stati Uniti, oggi è difficile immaginare una massima analoga secondo cui ciò che è buono per la Fiat sarebbe buono anche per l’Italia.

Nello stesso incontro del 22 dicembre, infatti, Marchionne ha dichiarato a Governo, Regioni e sindacati che, nella Fiat globalizzata, crisi a parte, non c’è più posto per lo stabilimento auto di Termini Imerese. Mentre per quello di Pomigliano d’Arco si prospettano mesi e mesi di cassa integrazione e meno posti di lavoro. I sindacati non sembrano propensi ad accettare un ridimensionamento produttivo, e occupazionale, della Fiat nel nostro paese. Tantomeno se, con un’evidente inversione di tendenza, tale ridimensionamento dovesse partire dal Sud."

Ciò che manca nell' analisi di cui sopra è l' aspetto dimensionale del problema:

-i Paesi in cui la Fiat è presente in modo quasi paritetico sono Italia, America e Brasile, in modo minore in Argentina, Turchia e India. I nuoìvi progetti in Serbia, Russia e Cina rischiano di divenire ancora più importanti.

-Putin ha vinto la scommessa con Berlusconi , il quale non credeva che la Fiat e Russi sarebbero stati capaci già ora di produrre un' auto a Vladivostok, al confine con la Cina. Eppure, la prima vettura nippon-russa-italiana della Sollers è appena uscita dalle catene di montaggio di Vladivostok.

Il Governo italiano, che ha sponsorizzato gli accordi serbi e russi, ha molte carte da giocare nei confronti della FIAT. Speriamo che la politica che farà sia "fasata" sul nuovo modo di essere della FIAT.

sabato 9 gennaio 2010

LA SERBIA HA PRESENTATO LA DOMANDA DI ADESIONE


Serbia Files Application to Enter European Union.La Serbie a présenté sa demande d' adhésion à l' Union Européenne. Serbien hat EU-Beitritt formell beantragt.

Dopo lunghe esitazioni, legate al problema del Kossovo e ai rapporti con la Russia, la Serbia ha presentato la propria domanda di adesione alla UE.Ciò significa che è stato trovato un ragionevole punto di equilibrio fra il sincero desiderio della maggior parte dei Serbi di far parte dell' Unione Europea, espresso dal Primo Ministro Tadic, e, dall' altra, l' ambizione di poter esercitare, all' interno dell' Unione, un' effettiva influenza per la difesa dei propri interessi nazionali, identificati con l' intangibilità del Kossovo e la solidarietà slava con la Russia.

La situazione si è, infatti, sbloccata dopo che, con l' appoggio della Serbia, si è potuto avviare il progetto South Stream, e il Paese è stato visitato dal Presidente Russo Medvedev.

In effetti, con South Stream, si è creato un nutrito gruppo di Paesi europei,membri della UE, a partire dalla Germania, dall'Italia e dalla Francia, per venire alla Grecia, all' Austria, all' Ungheria, alla Slovenia e alla Bulgaria, come pure non membri, come, appunto, la Serbia e la Turchia, che operano, almeno in campo energetico, di concerto con la Russia.

Questo fa pensare ai Serbi che essi potranno mantenere tutta la loro libertà di manovra sulla questione del Kossovo, attualmente pendente dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia, relativamente alla quale Medvedev ha promesso il proprio appoggio.Di questo punto di vista si è fatto portatore, in particolare, l' ex premier Kustunica, il quale, a margine del congresso di Jedinaja Rossija, ha incontrato tanto il primo ministro russo Putin, quanto l' altro leader dell' opposizione serba, Nikolic, la cui defezione aveva portato alla formazione del Governo Tadic.

La domanda di adesione ha anche sbloccato l'"empasse" che si era venuta a creare con la FIAT a proposito dell' investimento italiano nell'impresa automobilistica Zastava Automobili, promesso da gran tempo e mai realizzato. Contemporaneamente, è stata sbloccata la prima "tranche" di 100 milioni di Euro per il rinnovamento dello stabilimento di Kragujevac e la costruzione dell' impianto per la "Topolino".

Infine, con grande stupore delle autorità locali, che da tempo premevano senza risultato sulla FIAT perchè aderisse alla loro iniziativa della Zona Economica Speciale di Kragujevac, il Gruppo Torinese ha disposto unilateralmente che, alle porte del proprio comprensorio, venisse esposta la targa della Zona Economica Speciale.


CAPIRE COPENAGHEN


Contradictory Messages from Climate Summit.Des messages contradictoires du sommet mondial.Verwirrende Signale aus Klimatreffen

A nostro avviso, lo svolgimento e la conclusione del vertice dimostrano innanzitutto la complessità dello scenario politico internazionale.

Innanzitutto, più che mai le posizioni dei vari Paesi si sono rivelate differenziate, e legate, più che al problema specifico, alle rispettive priorità politiche.

Tanto l' America, quanto la Cina, ambiscono innanzitutto a mostrare la loro capacità di "leadership" e il loro rifiuto di essere condizionate dall' esterno. I "BASIC", capitanati, appunto, dalla Cina, non vogliono compromettere in alcun modo la loro corsa verso il vertice dell' economia mondiale.L? Europa avrebbe voluto dimostrare di esprimere, attraverso la sua posizione di avanguardia, la propria ambizione di "potenza civile" che riesce a dirigere il mondo solamente grazie alle sue buone idee e alle buone intenzioni. Anche la Russia avrebbe voluto fare da paciere. Invece, l' una e l' altra sono state platealmente escluse dal dibattito per la convergenza di fatto di America e BASIC.I Paesi più poveri ambiscono soprattutto ad acquisire, grazie al discorso sull'ambiente, ulteriori aiuti internazionali.

Solo i Paesi tropicali rivieraschi, come il Bangladesh, le Maldive e Tuvalu, sono seriamente preoccupati del surriscaldamento atmosferico, che, secondo le previsioni, li cancellerà fra breve dalla carta geografica.

L' atteggiamento di molti fra i negoziatori - "in primis", quello della Cina, ma poi anche quelli dei BASIC e dell' America, sono stati nettamente sprezzanti, con Hua Kuo Feng assente, Wen Ji Bao asserragliato nel proprio albergo, i BASIC che si riuniscono di nascosto, Obama che si installa di prepotenza nella loro riunione segreta e sigla l' accordo con la Cina senza consultare gli Europei.

Se l' Europa vuole continuare nella sua pretesa di avere un ruolo di "guida morale" del mondo, deve prendere atto di quanto accaduto, traendone una serie di lezioni:

-le sue posizioni debbono essere più mature e articolate, tenendo conto anche delle esigenze degli altri;

ci dev' essere un ben maggiore coordinamento fra i vari organi dell' Unione e gli Stati Membri;

-si deve essere pronti a formare coalizioni con i Paesi che hanno posizioni più simili alle nostre, come i paesi rivierasci e la Russia;

-si deve comunque pretendere un maggiore rispetto delle procedure formali.

No c' è che dire, un bel po' di compiti per Van Rompuy, Zapatero, Barroso e Katherin Ashton.